lunedì 16 aprile 2012

Pareggio di bilancio. Il conflitto di interessi non lascia, raddoppia

C'era una volta il default argentino, e c'era una volta l'Europa ricca e evoluta. Oggi, a distanza non di un secolo, ma di dieci anni appena, le posizioni appaiono capovolte. E così, mentre il PIL argentino galoppa a ritmi cinesi, è l'Europa a doversi interrogare sulla crisi, sul fantasma della povertà che, dopo più di mezzo secolo, torna nuovamente a far visita. E c'è chi medita possibili vie di fuga dal capitalismo.


Ma le similitudini non finiscono certo qui. A trascinare a fondo l'Argentina fu, infatti, la parità peso-dollaro, un meccanismo di stabilità monetaria. A noi è toccato in sorte l'euro, non a caso definito da Monti 'un grande successo, specialmente per la Grecia'. Ma, in entrambi i casi, l'esito è chiaramente identico: un'autorità sovranazionale, non democratica, come lo può essere la BCE o il FMI, che vuole mettere becco, se non dirigere apertamente, la politica monetaria degli stati sovrani, frenando in particolare la capacità di spesa e gli interventi a favore del welfare e del benessere dei cittadini.

Il vero punto all'origine del disastro è, come alcuni sapranno, la perdità di sovranità monetaria. Delegando all'esterno la più strategica delle funzioni pubbliche, gli stati hanno rinunciato a fare gli stati, annullandosi di fatto come entità di diritto autonomo. Ma per tornare alle beghe di casa nostra, c'è da registrare come proprio domani, in Senato, si brucerà l'ennesima tappa di questo folle viaggio all'indietro, che ha per obiettivo la distruzione delle sovranità nazionali. I partiti si apprestano infatti a votare l'obbligo del pareggio di bilancio in costituzione, misura invocata ancora una volta dall'Europa delle banche, col chiaro intento di stroncare sul nascere il ventilato ritorno della mano pubblica in economia, e delle temute politiche di occupazione keynesiane. Il demonio, se considerate nell'ottica dell'imperante religione neoliberista.

E' la stessa formulazione della norma, e il suo inserimento nella carta costituzionale, che pongono una serie di dubbi, ancor prima che etici, di ordine giuridico. E di legittimità.


Senza aver chiesto il consenso popolare e senza darne informazione all'opinione pubblica, infatti, le banche creditrici entrano coi loro uomini nella cabina di comando dello stato, il debitore appunto. E, in un periodo di vacche magre e sacrifici elargiti a iosa, appongono un vincolo alla distribuzione di risorse pubbliche, ritagliandosi per sé il ruolo di beneficiari privilegiati. Gli squali insomma, senza farsi scrupoli, saltano tranquillamente la fila riservata ai comuni mortali e si servono per primi al buffet della mangiatoia pubblica. Lasciando dietro di sé esodati, pensionati minimi, famiglie costrette a pagarsi di tasca propria spese mediche o asili nido, perché - supermario insegna - nel nuovo ordine bancario l'austerity regna sovrana, e onorare il sacrosanto debito coi paperoni della finanza rappresenta l'imperativo principe. Gli altri possono pure accomodarsi in sala d'attesa.

Un conflitto di interessi, come si vede, di proporzioni cosmiche, tale da far impallidire e persino rimpiangere i vecchi inciuci bicamerali tra PD e Mediaset. Non serve certo ricordare come il debito italiano tocchi cifre oramai stellari. Siamo prossimi a quota 2 mila miliardi, di cui l'80% circa consiste di titoli di stato, denaro cioè preso in prestito anche attraverso quegli stessi speculatori che con una mano riscuotono e con l'altra - quella dei loro sodali Monti e Passera, insediati nei dicasteri economici - stabiliscono tempi e modalità del rimborso. Soldi che in teoria, stando agli economisti e alle loro vulgate ad usum delphini, andrebbero a finanziare la spesa e ridare ossigeno al flusso degli investimenti in declino. Ma che nella pratica finiscono per pesare sul bilancio come un fardello schiacciante, con interessi che arrivano a risucchiare dalle nostre casse ben 100 miliardi di euro all'anno, un quarto dell'intero gettito fiscale. Pezzi interi di economia nazionale, o se vogliamo sovranità, che si staccano e se ne vanno alla deriva come iceberg, destinati a perdersi nel mare magnum di un'insensata rendita improduttiva.

E l'informazione, in tutto questo, dov'è?