lunedì 26 marzo 2012

Eugenio Scalfari e la massoneria

Su Berlusconi e la loggia P2 ne sappiamo fin troppo. Siamo talmente bombardati di inchieste, editoriali di Travaglio, dossier e intercettazioni, che l'informazione ci esce fuori dalle orecchie. La stessa Rai, in teoria monopolizzata da Mediaset e dal conflitto d'interessi, non ha mai mancato di aggiornarci sulle orribili malefatte del cavalier Silvio. Tanto che ad occuparsene sono stati quasi sempre programmi di grande ascolto, spesso in accattivanti formule da politica-spettacolo, come il tormentone Ruby, riproposto fino all'esaurimento al pubblico della prima serata.


Celeberrima alle cronache è la tessera P2 numero 1816 di Berlusconi, così come arcinoti sono i legami con Licio Gelli, che segnarono un decisivo trampolino di lancio per l'allora sconosciuto imprenditore brianzolo, partito quasi dal nulla per ritrovarsi, nel giro di pochi anni, con grandi fondi da investire nell'avventura edilizia di Milano 2. Dalla casalinga di Voghera al professore di Catania, più o meno tutti conosciamo a memoria le vicende di quegli anni. Grazie anche a una campagna informativa martellante, che ce le ha impresse, quasi come un marchio a fuoco, nel nostro immaginario di spettatori tv.

Sulle affiliazioni massoniche del centro-sinistra, invece, il buio assoluto. Non una parola, un servizio, un trafiletto, nulla di nulla. Un silenzio tombale, appena scalfito da qualche blogger solitario della controinformazione, ma certo nessuna icona mediatica del calibro di Travaglio, Saviano o dell'autoprodotto Santoro, ha mai osato non dico addentrarsi, ma sollevare un seppur minimo accenno alla questione.

Sulla faccenda, lo star system giornalistico sembra aver messo il silenziatore, ma come sanno i bene informati, le interdipendenze tra massoneria e sinistra sono tutt'altro che immaginarie o campate in aria. E anzi, le cose si fanno più nitide, via via che focalizziamo lo sguardo sul vertice e sui grandi leader storici dello schieramento. Basti ricordare gli affettuosi telegrammi di Giorgio Napolitano al Grande Oriente d'Italia. O certe particolari frequentazioni di Prodi, finite sotto la lente d'ingrandimento ai tempi dell'inchiesta 'Why not'. O le dichiarazioni di Gustavo Raffi, che in un'intervista afferma "La sinistra è figlia anche della massoneria. Sono più di 4 mila, i massoni del Partito Democratico. Molte centinaia ricoprono cariche politiche, amministrative o dirigenziali". Mentre su Eugenio Scalfari, figura storica del giornalismo militante di centro-sinistra, ci viene in soccorso Giancarlo Perna, che nel suo libro 'Scalfari, una vita per il potere' scrive:

«Scalfari-padre era massone. Una tradizione di famiglia. Il capostipite fu don Antonio, che, a cavallo tra il sette e l’ottocento, fondò la Loggia della Calabria uniforme (…). Eugenio ha i ritratti degli avi che indossarono il grembiulino appesi nella sua villa di campagna, a Velletri. Su ognuno c’è l’emblema massonico scalfariano: uno scudetto a due campi: uno con la scure e l’altro con il ponte (…). Con la caduta del fascismo (…) Pietro (padre di Eugenio) fu tra i fondatori della loggia locale»



Fascista in gioventù, poi radicale, poi ancora socialista, sposa la figlia del grande giornalista Giulio De Benedetti (direttore della 'Stampa'). Nel 1976 fonda 'la Repubblica', quotidiano che fin dalla nascita assume quasi un ruolo di faro, per la sinistra laica e non-ideologizzata. Oggi ce lo ritroviamo ancora sulle barricate, questa volta folgorato sulla via di Monti e dei ministri tecnici. Vuoi vedere che dietro un percorso così poliedrico, fatto di mille casacche indossate e di mille battaglie, si nasconde in realtà una fede e un disegno d'azione preciso, probabilmente sfuggito alla captazione dei più?   
    
La difesa a spada tratta del nuovo esecutivo, il sostegno alla TAV e all'Europa, l'elogio dei sacrifici economici da consumarsi sull'altare dello spread e della stabilità monetaria. Tutto fa pensare a una forte convergenza d'interessi tra il giornale di Scalfari e i centri di potere transnazionali che, con l'intensificarsi della crisi, hanno preso il sopravvento sulla politica. Il furore neoliberista è già costato a Scalfari, tra le altre cose, una discreta valanga di critiche. Ma è soprattutto la sua naturale alterigia e ostinazione, la cieca determinazione a non scendere a patti col mondo che cambia, a farne un simbolo, se vogliamo, quasi archetipico del matrimonio incestuoso (e d'interessi) tra finanza e politica.

E' una benevolenza infinita, quella dimostrata dal centro-sinistra, per la grande industria e la finanza cosiddetta laica. Un amore tutt'altro che platonico e non ricambiato, se consideriamo gli innumerevoli politici-banchieri candidati tra le file del PD e subito inseriti in ruoli e ministeri-chiave, luoghi dai quali il mondo della finanza ha potuto dettare indisturbato la propria personale agenda politica, fatta di riforme peggiorative del lavoro, agevolazioni a sé stessa, e privatizzazione a tappeto dei servizi pubblici. Se conversione alle virtù del neoliberismo c'è stata, e dopo i recenti fatti pare perlomeno bizzarro o controcorrente affermare che non ci sia stata, Repubblica ne è stata indiscutibilmente il motore trainante, il gruppo di pressione che, sotto la guida del suo padre nobile, ha giocato più di ogni altro un ruolo protagonista, nel trascinare la sinistra italiana sulla via della subordinazione all'elite bancaria. E del conseguente tradimento dei propri elettori.

mercoledì 7 marzo 2012

Putin e la nuova Russia, bandiera degli stati-nazione

Trionfo annunciato per Vladimir Putin che, forte del 63% raccolto alle presidenziali, guiderà la Russia alla grande sfida geopolitica con gli Stati Uniti e le forze emergenti sullo scacchiere mondiale. Quasi assente, dal canto suo, l'opposizione. I comunisti arrivano al 17%, il magnate Prokhorov si ferma al 7,2%. Nel complesso, il progetto di una Russia sotto influenza atlantica, sedotta dai richiami massmediatici occidentali, rimane solo sulla carta. Così come lo spettro delle rivoluzioni colorate targate George Soros, agitato a più riprese dalla stampa internazionale, ma che, nei fatti, ha impensierito poco o nulla il cammino dell'uomo forte di Mosca.


 Ma cosa c'è dietro l'angolo? I toni dell'informazione mainstream sono a dir poco allarmanti. Rispolverando un lessico da guerra fredda, giornali e telegiornali puntano il dito specialmente sui brogli, sul rischio autoritario, sulla Russia potenza mondiale che torna minacciosa a dettare condizioni alla comunità internazionale. Per consegnarci, infine, il ritratto di un Putin arrogante e nazionalista. Un "dittatore", sembrano suggerirci i titoloni sparati a raffica; certo il termine in questione non lo usano mai, ma se a tenere banco sono i trascorsi di Putin nel KGB, o i video che lo ritraggono in torso nudo e fucile da caccia, l'impressione che se ne ricava un po' è quella. Ma quanto c'è di vero? Esiste veramente questa Russia chiusa e nostalgica, che taglia i ponti con il futuro per riconsegnarsi a un nuovo Stalin?


Mettiamo in fila una serie di dati storici.

La Russia il volto della dittatura e dei biechi affamatori del popolo l'ha già conosciuto. Il punto di svolta, lo sappiamo, fu il crollo del regime sovietico. Correva l'anno '92 e, partita ufficialmente l'era Eltsin, il popolo russo scopriva a sue spese, in una presa di coscienza graduale, che la libertà non arriva quasi mai come un dono dal cielo. E anzi, il crollo di una dittatura può essere il preludio per la costruzione di un'altra. Ben peggiore, se poi consideriamo gli effetti sull'economia e la vita quotidiana delle persone. Fu il periodo delle grandi privatizzazioni, degli immensi patrimoni pubblici che passavano di mano a prezzi di saldo, acquisiti da un pugno di ricchi avventurieri sbucati dal nulla, i cosiddetti oligarchi. Tolto di mezzo il contraltare sovietico, il pensiero unico liberista correva a briglia sciolta. In Russia ma anche, parallelamente, in Argentina. Divorando tutto quanto gli si presentava davanti, in termini di risorse umane e materiali. E' il mercato, bellezza. E se qualcuno o qualcosa si metteva di traverso, poco male. Soluzioni pratiche, veloci e turbocapitaliste al massimo grado erano sempre lì pronte a portata di mano. Come quando il presidente Eltsin usò i carri armati contro i parlamentari della Duma, rei di aver fatto opposizione al suo vasto piano di riforme. Il bilancio finale fu di 187 morti e 437 feriti tra gli opposti schieramenti. Ma c'era la benedizione della stampa estera e dello spirito globalizzatore di Bill Clinton, ragion per cui questo rimase solo un episodio amaro. Da tenere a mente però, anche a proposito di chi, oggi, s'indigna e grida facilmente al pericolo autoritario.


L'ascesa di Putin fece da antidoto alla recessione e al propagarsi del virus neo-liberista. Gli oligarchi vennero imprigionati o costretti all'esilio, il debito e l'inflazione ridotti drasticamente. E, quel che più conta, i grandi giacimenti di gas e petrolio tornarono sotto la mano pubblica, assicurando alla nuova Russia stabilità e un futuro da grande potenza sullo scenario globale, unico attuale baluardo, insieme alla Cina, contro il militarismo impazzito dell'asse Usa-Israele.

Di seguito, la Russia negli indicatori economici relativi a 1999 e 2010. Ricette neoliberiste ed 'era Putin' a confronto:

PIL PRO CAPITE   da 4.200 $  a  15.900 $

PIL (miliardi di dollari)   da  620  a  2.220

RAPPORTO DEBITO PUBBLICO/PIL   da  99%  a  9.5%

POVERTA'   dal  40%  al  13.1%

TASSO DI DISOCCUPAZIONE   dal  12.3%  al  7.5%

SALDO MIGRATORIO (migranti per 1000 abitanti)   da  1  a  0.3

MORTALITA' INFANTILE (morti su mille neonati)   da  20  a  10

TASSO DI INFLAZIONE ANNUO (prezzi al consumo)   da  86%  a  6.6%

ESPORTAZIONI (miliardi di dollari)   da  75  a  376

RISERVE DI VALUTA ESTERA E ORO (miliardi di dollari)   da  10.7  a  483