sabato 5 maggio 2012

Svendite, golpe e disastri. La Russia ai tempi di Boris Eltsin e del neoliberismo

Pochissimi ne sono a conoscenza, ma in Russia nel 1993 si è consumato un golpe. Il presidente Eltsin, regolarmente eletto e incaricato dal parlamento di completare la transizione democratica dopo il crollo del comunismo, subito varò un grande piano di riforme, ispirato alle teorie ultraliberiste degli economisti di Chicago. Ma il parlamento si oppose. Non era quello il progetto futuro di sviluppo cui guardava il popolo e l'ala politica riformista della Russia post-sovietica. Democrazia sì, ma di tipo europeo. Sul modello della vicina socialdemocrazia svedese. Non certo della Polonia, che proprio in quegli anni, affidandosi a Solidarnosc, sperimentava per prima i duri effetti recessivi della terapia shock.


Di fronte al secco no della Duma, Eltsin non fece marcia indietro. Non trattò. Tentò anzi ripetutamente di scavalcare la volontà parlamento, imponendo l'approvazione delle riforme per decreto. E messo all'angolo da deputati e corte costituzionale, che decretarono con voto pressoché unanime l'impeachment, si decise a passare all'azione, mettendo in atto un colpo di mano militare.  

Incoraggiato dagli Stati Uniti e dalla stampa internazionale, che tifava apertamente per una soluzione autoritaria del conflitto, Eltsin sciolse d'imperio il parlamento. Seguì poi un assalto con mitra e carri armati ai parlamentari asserragliati nell'edificio. La folla circondò la Duma, nel tentativo di proteggere la democrazia dall'attacco dei nuovi profeti del neoliberismo, ma l'esercito ebbe facilmente la meglio e gli scontri si conclusero con un bilancio pesante. In tutto circa 500 morti e un migliaio di feriti, tra manifestanti e soldati che erano accorsi, impugnando fucili e pistole, in difesa del parlamento legittimamente eletto.


Stampa e televisioni di tutto il mondo, inutile dirlo, celebrarono Eltsin come il 'salvatore della democrazia'. L'uomo che, usando il pugno di ferro, aveva scongiurato il ritorno dell'ala più oltranzista e reazionaria del comunismo. Ma i deputati che fece arrestare non soltanto uscivano da libere elezioni democratiche, ma erano esattamente gli stessi che, poco prima, lo avevano incaricato di guidare il passaggio alla democrazia, intesa come avvicinamento della Russia a standard di vita e a un'istituzionalità tipici dell'Europa occidentale. 

Sbarazzatisi del parlamento, Eltsin e il suo pool di economisti passarono immediatamente all'attuazione del nuovo programma di riforme, incentrato su tagli alla spesa e privatizzazioni a tappeto delle grandi risorse pubbliche. Scrive Naomi Klein nel suo "Shock Economy":   

Il 40% di una compagnia petrolifera di dimensioni paragonabili alla francese Total fu venduto per 88 milioni di dollari (le vendite della Total nel 2006 sono pari a 193 miliardi di dollari). La Norilsk Nickel, che produceva un quinto del nickel mondiale, fu venduta per 170 milioni di dollari, anche se i suoi profitti raggiunsero presto gli 1,5 miliardi di dollari annui. L'enorme compagnia petrolifera Yukos, che controlla più petrolio del Kuwait, fu venduta per 309 milioni di dollari; ora guadagna più di 3 miliardi l'anno. Il 51 per cento del gigante petrolifero Sidanko costava 130 milioni milioni di dollari; appena due anni dopo quella percentuale sarebbe stata valutata sul mercato internazionale a 2,8 miliardi di dollari. Un'enorme fabbrica di armi fu venduta per 3 milioni di dollari, il prezzo di una casa per le vacanze ad Aspen, in Colorado.  

A parte i casi di grave carestia, pestilenza o battaglia, non era mai accaduto che così tante persone perdessero  così tanto in così poco tempo. Nel 1998, oltre l'80% delle aziende agricole russe era in bancarotta, e circa 70.000 fabbriche statali avevano chiuso i battenti, generando un'epidemia di disoccupazione. Nel 1989, prima della shockterapia, due milioni di persone nella Federazione russa vivevano in povertà, con meno di 4 dollari al giorno. Quando gli shockterapeuti ebbero somministrato la loro "medicina amara" a metà degli anni Novanta, 74 milioni di russi vivevano sotto la soglia di povertà, secondo la Banca mondiale. Ciò significa che le "riforme economiche" in Russia sono responsabili della riduzione in povertà di 72 milioni di persone in soli otto anni. Nel 1996, il 25 per cento dei russi - quasi 37 milioni di persone - vivevano in una povertà descritta come "disperata".

Gli anni di capitalismo criminale hanno ucciso il 10% della popolazione. Dal 1992, primo anno di shockterapia, la popolazione russa si è ridotta di 6,6 milioni di persone.


 
Questo fu il regime del 'libero mercato'. Un'operazione di guerra economica e demografica sotto mentite spoglie che mirava, né più né meno, ad abbattere il gigante russo, da sempre considerato (e non a torto) il nemico geopolitico numero uno del mondialismo. Oggi però lo spettro inquietante di quelle terapie shock e del neoliberismo dei disastri si materializza a casa nostra. Il background teorico di Mario Monti è, indubbiamente, figlio della scuola di pensiero che si rifà a Milton Friedman e che ha accompagnato come un macabro ritornello ogni genere di devastazione e saccheggio compiuti dai dominatori del mondo a danno dei popoli, offrendo di fatto un paravento ideologico a tutto il peggio che la storia degli ultimi sessanta anni ricordi. Invasioni militari in nome della pace, distruzioni, fame e sospensioni 'controllate' della democrazia.

Forse, se non finiremo come la Russia degli oligarchi, lo dobbiamo soltanto alla nostra particolare posizione geografica, così opportunamente inserita al centro dell'Europa meditarranea. Se l'Italia confinasse con la Georgia e avessimo anche noi l'alfabeto cirillico, probabilmente nessuno si accorgerebbe delle nostre grida d'aiuto. Probabilmente, una bella dittatura in stile Pinochet non ce la toglierebbe nessuno.

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